Casale del Giglio
Scopriamo le origini del fiore dell'Agro Pontino: Casale del Giglio
Dettagli
Tipologia
Vino
Regione
Lazio
E pensare che da adolescente questa tenuta era per me un ampio spazio dove liberare l’energia correndo con il motorino.
Con queste parole, spesso, Antonio Santarelli, guardando i suoi oltre 160 ettari di vigneto tutt’intorno alla cantina, in località Le Ferriere, cuore dell’Agro Pontino, racconta le origini di Casale del Giglio: oggi una delle aziende vinicole più importanti d’Italia.
A dire il vero, storicamente, l’Agro Pontino, non è mai stato famoso per la produzione di vino. Prima della famiglia Santarelli l’uva era del tutto marginale rispetto alle coltivazioni tradizionali post bonifica. Il vino quotidiano non mancava, tuttavia uve locali non ce n’erano e i vitigni presenti a inizio Novecento erano essenzialmente Trebbiano, Merlot e Sangiovese; tutti di origine romagnola, esattamente come le braccia e il sudore di chi aveva sottratto la terra alle paludi per far poi posto agli operosi veneti.
L’area dell'Agro Pontino era famosa per il grano, così come per i canali ricchi di anguille, carpe, tinche e altre specie di pesci e fauna fluviale. Di uva poca o nessuna traccia, almeno sino al 1985 quando Dino Santarelli, papà di Antonio, decise di mettere a dimora un campo sperimentale con 60 varietà d’uva tutte diverse.
«Il progetto di sperimentazione di mio padre – ricorda Antonio Santarelli – trasformò questi terreni in una vera e propria fucina di qualità per il vino»: era nato il vino dell’Agro Pontino.
Il progetto di ricerca di Casale del Giglio, basato su varietà italiane e internazionali, fu autorizzato dall’Assessorato all’Agricoltura della Regione Lazio e vide la collaborazione di veri e propri “mostri” della viticoltura italiana come i professori Attilio Scienza dell’Università di Milano e Angelo Costacurta dell’Istituto Sperimentale per la Viticoltura di Conegliano, e il contributo dell’Istituto Agrario Provinciale San Michele all’Adige che “regalò”, nel 1988, alla famiglia Santarelli l’enologo e agronomo Paolo Tiefenthaler: uomo geniale che di lì a pochi anni sarebbe diventato il deus ex machina dei vini dell’azienda.
«Paolo – confessa Santarelli – è un amico fraterno, non un collaboratore. Insieme a lui l’idea di una viticoltura di qualità ci venne dall’esempio di Bordeaux, un territorio anch’esso strappato agli acquitrini, grazie alla volontà di Enrico IV che affidò l’incarico della bonifica agli olandesi». Dopo dieci anni di lavoro delle 60 varietà ne vennero selezionate 20, le migliori per il territorio, quelle su cui si è poi basata la produzione aziendale. Syrah, Petit verdot, Chardonnay, Viognier, Sauvignon, Petit manseng, Cabernet sauvignon e anche Tempranillo rappresentano la gran parte del ventaglio varietale della cantina.
Uve capaci di regalare diverse tipologie di vino e vere e proprie eccellenze pluripremiate in Italia e nel mondo come i rossi Mater Matuta, Madreselva e i bianchi Antinoo e Satrico.
Gli sforzi della famiglia Santarelli non hanno tuttavia “soltanto” creato un territorio vinicolo ex novo ma anche rivalutato a livello storico-archeologico questa parte di Agro Pontino, sovvenzionando il progetto Satricum, antica città latina che si dice essere stata fondata da Silvio figlio di Enea. Gli scavi, in collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Etruria Meridionale e l’Università di Amsterdam, hanno portato alla luce l’antico borgo e la “Via Sacra” che conduceva al tempio della Mater Matuta, primordiale divinità latina che darà poi il nome al vino di punta dell’azienda.
Accanto alla passione per il vino non va comunque dimenticata quella per la gastronomia regionale che Antonio Santarelli coltiva non solo attraverso gli studi sulle tradizioni della sua adorata Amatrice, luogo di origine della famiglia, ma soprattutto nei locali del ristorante di famiglia Collegio Vini Liquori & Cibo di piazza Capranica 99, proprio nel centro di Roma, a due passi da Montecitorio.
Non contento dei successi che dagli anni Novanta accompagnano la produzione vinicola, Santarelli ha pensato di ampliare ulteriormente l’offerta enologica della maison, coinvolgendo territori questa volta sì ricchi di storia vinicola ma dimenticati, sebbene forieri di vere e proprie “perle” tutte da bere. Nasce così nel 2012 il vino bianco Faro della Guardia, rarissimo Biancolella di Ponza frutto della riqualificazione di vigneti a picco sul mare, e l’anno successivo il recupero, sulla costa di Anzio, dell’uva Bellone, antico e dimenticato vitigno bianco laziale che dà vita oggi ai vini Anthium e Radix. Legati al territorio di Amatrice, infine, la produzione di Cesanese e di uno spumante da uva bianca Pecorino, tipica non solo dell’Abruzzo e delle Marche ma anche dell’alto Frusinate. «La storia enologica di Casale del Giglio – riassume l’enologo Paolo Tiefenthaler – ha visto tre momenti essenziali e unici nel panorama viticolo del Lazio:
- una prima fase di sperimentazione in cui si è letteralmente creato un territorio del vino di qualità nell’Agro Pontino;
- una seconda di consolidamento dove abbiamo dimostrato che questo territorio poteva produrre vini di personalità e unici in Italia;
- una terza, che stiamo ancora vivendo, di riscoperta e di valorizzazione delle tradizioni enologiche della regione, come la viticoltura dell’isola di Ponza, la rinascita del Bellone, la ricerca dell’eleganza nel Cesanese, uva rossa tra le migliori del Paese
- e, da ultimo, la realizzazione di un grande spumante da Pecorino coltivato nella martoriata zona di Amatrice».
Vino come strumento di riscatto, rinascita e riqualificazione.
In una regione considerata ancora oggi di seconda fascia nella produzione enologica di qualità ma, come da oltre trent’anni Antonio Santarelli e Casale del Giglio dimostrano, con tutte le carte in regola per essere, stabilmente, tra i primi.
Per il link al sito ufficiale di Casale del Giglio, clicca qui.
Commenti
Commenta anche tu
Questo post mi fa sentire